“L’odierna escursione "

Ore 10.00 c.a., un Gruppo di formazione Tiburziana, composto da almeno 70 persone, giunge finalmente avanti ciò che resta del complesso cultuale dedicato alla divinità dell’etrusca Vei. E’ già stata visitata la graziosa chiesetta della Madonna della Folgore, adornata di festoni bianchi, ove in mattinata due giovani, un uomo ed una donna, coroneranno il loro sogno d’amore. La chiesina é la naturale prosecuzione cristiana del santuario a Démetra.

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La Chiesetta della Folgore

tempio di demetra

La suggestiva vista delle parti di ciò che resta del tempio nel suo insieme, alquanto scomposto e dissestato, richiede qualche attimo di tempo per dar modo ai nostri sensi di intentarne una sommaria ricostruzione. .

tempio demetra

I Resti del Tempietto

Non è cosa facile comporre visibilmente quel singolare e complicato puzzle di frammenti pietrosi che si è creato naturalmente, memorizzando spezzoni superficiali visibili ed altri sporgenti dal terreno, parzialmente interrati.

Soltanto un violento terremoto può aver danneggiato così radicalmente il complesso templare, fratturando in più parti le strutture di un enorme monolito di peperino ove gli etruschi avevano ricavato, in negativo, una cella votiva ed attorno ad alcuni ambienti. Oppure può essere accaduto quanto anticipo, parte di ciò che avanti è indicato: “”omissis … la distruzione del tempio di Demetra, in Roma, nel 396 d.C., ad opera dei visigoti, cristiani seguaci dell'Arianesimo e condotti da Alarico, sancì la definitiva interruzione delle celebrazioni.””

L’abbandono di certo del luogo di culto, dopo che la struttura del tempio venne distrutta e scomposta, deve essere stato repentino, a rischio l’incolumità dei sacerdoti e delle migliaia di persone che vi confluivano da tutta l’Etruria e da territori limitrofi falischi. Ne sono testimoni le raccolte non predate di ex voto, giunte complete ed in massima parte intatte fino ai nostri giorni; una statuetta, identificata con Démetra, ha permesso in base al confronto con altre copie analoghe rinvenute in Italia ed in Grecia di attribuire alla dea il tempio. L’immagine era posta nel ripiano del tempietto, rivolta verso l’ingresso, così come venne abbandonata, mentre accanto ad essa era posta una testa in ceramica alla base del ripiano, attribuita alla dea Persefone, figlia della grande madre della terra. Sotto il ripiano rituale e ai piedi della statua sono stati rivenuti numerosi reperti di terracotta, tra cui delle lucerne, un piccolo boccale, un'olletta e dei coperchi, volutamente rovesciati. Sul piano erano frammenti di tegole e una moneta identificata come un asse di Domiziano dell'86 d.C..

Nel tempio si venerava l’etrusca Vei, dea della fertilità, che si identifica in Grecia con Dèmetra e Cerere in Roma.

Il complesso cultuale, eretto intorno al IV secolo a.C., presumibilmente è stato abbandonato intono al II secolo d.C.

Prossima al tempio una fonte miracolosa – fonte asciutta – risanava dalle malattie e risolveva problemi di sterilità alle donne ed a chi avesse qui bevuto l’acqua che sgorgava.

La fonte "asciutta ”

fonte asciutta

La molteplicità degli ex-voto, rinvenuti nei depositi del tempio, lascia intendere che alla divinità erano attribuite qualità che esorbitavano quelle peculiari attribuite in Grecia ed in Roma alla dea Démetra-Cerere: parti anatomiche che si volevano far guarire per intervento “divino”, ed ancora uteri, teste, piedi, gambe; e quando si chiedeva di miracolare piccoli sofferenti, venuti al mondo con problemi, statuette di bambini e donne; piattelli utilizzati per le pubbliche offerte, che i membri della comunità religiosa porgevano ai convenuti, tal e quale a quanto al momento dell’offertorio nelle nostre chiese. Gli ex voto che venivano donati al tempio, rimanevano esposti per un certo periodo di tempo negli ambienti sacri, mentre le monete ripagavano l’intercessione sacerdotale divina.

Paragonabile questo sacro luogo – per il continuo pellegrinaggio per secoli richiamato – a Lourdes e ad altre località ove si sono verificate apparizioni o fenomeni miracolosi, pari al nostro Pantano ove, come ben noto, una statuetta della Madonnina di gesso ha lacrimato sangue!

Questi luoghi, esaltati dall’immaginario comune, vengono posti sotto sacre tutele, molto frequentati per quanto si ha notizia, di vere e proprie guarigioni, inspiegabili dalla scienza medica. Persone afflitte da immobilità che riacquistano l’uso delle gambe, “mali incurabili” che si dissolvono come nebbia al sole!

Quanto accadeva nel passato ha continuato a perpetrarsi fino ancora al presente, ciò che probabilmente è avvenuto nel Bosco delle Valli, dopo l’apparizione di Démetra, la dea dalla scura veste, ha sacralizzato il luogo.

Per visitare il tempietto, una piccola costruzione in pietra, occorre addentrarsi entro una piccola cavità tra due immense rocce che si sono appoggiate l’una contro l’altra, così sistemate dopo uno o più sconvolgimenti tellurici, ma che hanno preservato la minuscola costruzione dalla frantumazione e non solo, anche il suo contenuto dai poco scrupolosi sacrileghi.

L' accesso al tempio

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L' accesso

La statuetta in terracotta di Démetra ivi rinvenuta si presenta secondo le sue più note immagini iconografiche del bacino mediterraneo, seduta nelle mani una patera ed un fascio di spighe.

Immagine tratta da

http://www.etruriameridionale.beniculturali.it/index.php?it/1/soprintendenza-beni-archeologici-etruria-meridionale

Cosa dice una delle tante mitologie greche

Ades rapì la figlia di Démetra; gliel’aveva data Zeus all’insaputa della madre. La fanciulla stava giocando con le figlie di Oceano sui prati lussureggianti e coglieva i fiori, rose e crochi, violette, iris e giacinti. Stava per cogliere il narciso che la dea Gea con astuzia aveva fatto spuntare per amor del dio degli inferi per tentare la fanciulla dal volto di bocciolo: una splendida meraviglia.

Tutti, dei ed uomini stupirono nel vedere quella pianta. Cento fiori spuntavano dalla sua radice, un dolce profumo si spandeva per l’aria, il cielo, la terra e l’acqua salsa ridevano. Lei fanciulla stupita stese ambo le mani verso quel fiore come verso un giocattolo od un tesoro. Allora la terra si spalancò, si aprì una voragine sul campo Niseo; il signore degli inferi, figlio di Crono, il dio dai molti nomi, ne balzò fuori con i suoi cavalli immortali. Egli prese la fanciulla riluttante e piangente sul suo carro dorato e la rapì…

Con voce tremante essa chiamò il padre, il figlio di Crono, supremo sovrano. Né un dio, né un uomo sentì la sua voce e nemmeno un ulivo si mosse. Solo la tenera figlia di Perseo, la dea dal fulgido diadema, Ecate, dalla sua grotta udì il grido e lo udì Ilio, magnifico figlio di Iperione. Il padre stava lontano dagli dei, nel suo tempio frequentato da molti uomini e accoglieva i sacrifici. La figlia veniva rapita dallo zio, il dio dai molti nomi, figlio di Crono che comanda a molti e riceve molti ospiti, proprio per istigazione del padre.

Fino a che vide la terra e il cielo stellato, il mare ed il sole, la dea sperò di rivedere sua madre e gli dei eterni, fino ad allora essa nutrì speranza al suo dolore. Le cime come dei monti e gli abissi riecheggiavano del suono della sua voce immortale. La grande dea madre la sentì. Un acuto dolore le trafisse il cuore, strappò l’ornamento dei suoi capelli immortali, levò dalle spalle la veste oscura e volò, come un uccello, sopra la terra e le acque, alla ricerca della figlia.

Nessuno voleva dirle la verità, né un dio né un uomo. Nessun uccello le volò intorno per darle qualche indicazione. Per nove giorni la sovrana Démetra errò per la terra, con due fiaccole accese nelle mani. Nel suo dolore non toccò né ambrosia, né nettare, né bagnò il suo corpo con l’acqua. Soltanto al terzo mattino incontrò Ecate, portatrice come lei di fiaccole, che le diede la notizia.

Senza una parola, la figlia di Rea si mosse insieme a lei con le sue fiaccole accese in mano, verso Elio, investigatore degli dei e degli uomini. Si fermarono dinanzi ai suoi destrieri. La grande dea gli chiese di sua figlia e del rapitore della fanciulla. Il figlio di Iperione le rispose:

“Figlia di Rea, Démetra, ora lo apprenderai. Ho venerazione per te e compassione del tuo dolore per la perdita della fanciulla dalle belle caviglie. Nessun altro degli immortali ne è colpevole, se non Zeus che la diede in sposa a suo fratello Ades. Questi la trasse con violenza nel suo carro e la portò nel regno dell’oscurità, senza curarsi del suo disperato pianto. Ma tu, dea, cessa di lamentarti. E’ inutile nutrire un’ira così inestinguibile in tuo fratello Ades, tu non hai acquistato un genero indegno, tra gli dei egli è onorato da un terzo dell’universo, da quando questo è stato diviso, e, dove dimora, egli è re!

Così disse Elio e spronò i suoi destrieri. Essi obbedirono alla sua voce e veloci come uccelli, tirarono il carro. La dea fu assalita da un dolore ancora più tremendo, lancinante. Nella sua ira contro Zeus, essa abbandonò la riunione degli dei dell’Olimpo, scese tra gli uomini e andò a vedere le loro città e le loro opere. Deformò la propria figura di modo che nessuno, né uomo, né donna, la riconoscesse, prima che ella fosse arrivata nel palazzo dell’astuto Celeo, che era allora il re di Eleusi, città profumata di sacrifici. Sedette sull’orlo della strada, immersa nel dolore del suo cuore, presso la fontana delle vergini, dalla quale i cittadini attingevano l’acqua. Colà rimase seduta all’ombra di un ulivo. Aveva l’aspetto di una vecchia non più capace di partorire, né di partecipare ai doni della dea dell’amore.

Démetra, lontana dagli dei beati, rimpiangendo sua figlia, mandò un’annata terribile sulla terra nutrice, un’annata da cani. La terra non fece germogliare alcun seme. La dea fece restare tutto sepolto nel suolo. Inutilmente i buoi tiravano gli aratri nei campi, inutilmente l’orzo bianco cadeva nella terra. Essa avrebbe distrutto tutto il genere umano con una terribile carestia, gli olimpici non avrebbero avuto più venerazione e sacrifici, se Zeus non avesse pensato qualche cosa di buono. Anzitutto egli mandò Iris, l’amabile dea dalle ali d’oro, a richiamare Démetra. Iris obbedì e si recò ad Eleusi in fretta. Trovò Démetra nel tempio avvolta in una veste scura e la scongiurò inutilmente: la dea non cedette. Il padre mandò da lei tutti gli dei beati, essi andarono uno dopo l’altro a richiamare Démetra, portandole splendidi regali; ma nessuno riuscì a convincere l’adirata a desistere dalla sua decisione. Essa non voleva rientrare nel palazzo profumato dell’Olimpo. La terra non doveva dar frutti prima che essa avesse riveduto sua figlia.

Avendo sentito questo, Zeus, inviò Ermes, il dio dalla verga d’oro, nel buio degli inferi, affinché persuadesse Ades e conducesse Persefone dall’oscurità alla luce, presso gli dei, di modo che la madre la rivedesse e cessasse dalla sua ira. Ermes obbedì e discese dalla sede olimpica nelle profondità sotterranee. Trovò il padrone del palazzo nella sua casa. Egli sedeva nel suo giaciglio insieme alla sua pudica sposa, che in profondo dolore sospirava per la madre. Ermes si fermò davanti a loro e informò Ades, signore dei morti, dio dai riccioli oscuri, della ragione della sua visita. Le ciglia di Ades accennarono ad un sorriso. Egli obbedì a Zeus e parlò subito alla sposa:

“Va’, Persefone, a raggiungere tua madre, dea dalla veste oscura, va’ con cuore sereno e non essere più così eccessivamente triste. Non sarò per te un marito indegno tra gli immortali; in fondo sono fratello di sangue di tuo padre Zeus. Tu regnerai, anche se sei qui, su tutti gli esseri viventi e avrai il massimo onore tra gli dei. Chi ti offenderà e non presenterà un sacrificio espiatorio, sconterà pene eterne. Così parlò”

Persefone rasserenata balzò in piedi, ma lo sposo le diede da mangiare, porgendo da dietro per non essere visto, un seme di melograno dolce come il miele, affinché essa non restasse per sempre presso Démetra. Egli attaccò gli immortali destrieri al suo cocchio dorato. La dea vi salì sopra, Ermes con le redini e la frusta in mano incitò la pariglia a uscire dal palazzo, I destrieri volarono volentieri e superarono rapidamente la grande distanza. Né mare, né fiume né precipizi o rocce impedirono il loro passaggio, essi attraversarono l’aria. Ermes li fermo dove Démetra stava davanti al suo tempio profumato. Questa nel vedere la figlia, balzò in piedi come una baccante nella montagna. Persefone dal canto suo, lasciando il carro, le corse incontro. Mentre si abbracciarono,

Démetra chiese alla figlia, se presso Ades, avesse preso qualche alimento, poiché in questo caso essa avrebbe dovuto passare un terzo di ogni anno sotto la terra e per due terzi sarebbe potuta rimanere presso sua madre e gli altri immortali, ritornando tra di loro in primavera. Démetra si capacitò per lo stato delle cose e lasciò che sulla terra spuntassero i frutti dei campi pieni di zolle. L’ampia terra si coprì di una pesante massa di erbe e di fiori. La dea però si recò dal re degli Eleusi e mostrò i sacri riti eleusini, iniziando gli uomini in quel culto segreto che non è permesso tradire, né ascoltare, né raccontare: la grande venerazione degli dei ne impedisce la voce.

I Sacri Riti misterici Eleusini (Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.)

I misteri eleusini erano riti religiosi misterici che si celebravano ogni anno nel santuario di Démetra nell’antica città greca di Eleusi.

Placca votiva in terracotta ritrovata al santuario di Eleusi (IV secolo a.C.)

I riti eleusini erano antichissimi, si svolgevano già prima dell’invasione ellenica (periodo miceneo, circa 1600-1100 a.C.). Secondo alcuni studiosi il culto di Demetra fu fondato nel 1550 a.C. Quando, nel VII secolo a.C., Eleusi diventò parte dello Stato ateniese, i riti si estesero a tutta la Grecia antica e alle sue colonie. Ebbero larga diffusione anche a Roma e perfino Cicerone e l’imperatore Adriano e l’imperatore Gallieno vi presero parte.

I misteri rappresentavano il mito del ratto di Persefone, strappata alla madre Demetra dal re degli Inferi, Ade, in un ciclo di tre fasi, la "discesa" (la perdita), la "ricerca" e l'ascesa, dove il tema principale era la "ricerca" di Persefone e il suo ricongiungimento con la madre.

Il rito era diviso in due parti: la prima, piccoli misteri, era una specie di purificazione che si svolgeva in primavera, la seconda, grandi misteri, era un momento consacratorio e si svolgeva in autunno. La cerimonia voleva rappresentare il riposo e il risveglio perenne della vita delle campagne. I riti erano in parte dedicati anche alla figlia di Demetra, Persefone, poiché l’alternarsi delle stagioni ricordava l’alternarsi dei periodi che Persefone trascorreva sulla terra e nell’Ade.

I riti, le cerimonie e le credenze erano tenute segrete. Gli iniziati credevano che avrebbero ricevuto la giusta ricompensa dopo la morte. I vari aspetti dei Misteri sono rappresentati su molti dipinti e ceramiche. Poiché i Misteri comprendevano visioni e invocazioni a una vita oltre la morte, alcuni studiosi ritengono che il potere e la longevità dei Misteri Eleusini derivasse da agenti psichedelici. La distruzione del tempio di Demetra nel 396 d.C., ad opera dei visigoti, cristiani seguaci dell'Arianesimo e condotti da Alarico, sancì la definitiva interruzione delle celebrazioni.

la faggeta dei monti cimini

Terminata la visita al sacro tempio di Démetra, ci dirigiamo, a passare l’ora canonica del pranzo e parte del pomeriggio, verso la faggeta del Cimino.

Ma cos’altro doveva capitarci rei di aver scampato il temporale transitato in quelle ore su Civitavecchia? Credo niente! Delle 20 e più vetture partite dal Bosco delle Valli soltanto una parte, quella che era prossima alla vettura di testa, è giunta dopo quasi 35 Km. di peripezie al piazzale della Faggeta. Quindi soltanto pochi hanno potuto vedere e sapere qualcosa del “Sasso Naticarello” ma che per gentile concessione di Gualco, qui sotto riporto:

SASSO NATICARELLO

Al limitare del bosco di faggi si trova il grande masso di trachite noto come rupe tremante o sasso menicante, meglio conosciuto agli abitanti del posto come sasso naticarello (attestate anche le antiche forme "sasso menicatore" e "sasso trenicatore").

Celebrato già da Plinio il Vecchio come naturae miraculum (miracolo della natura) nel suo Naturalis historia, è un grosso masso di forma ovoidale di circa 8 metri di lunghezza, 6 metri di larghezza e 3 metri di altezza, del volume di circa 100 m³ e del peso di circa 250 tonnellate, sospeso in equilibrio su una sporgenza rocciosa del suolo, caratteristica che fa sì che possa essere fatto oscillare sensibilmente e in modo abbastanza agevole utilizzando un grosso bastone a mo' di leva.


  Entro un ragionevole lasso di tempo, grazie anche alle ben note capacità di orientamento dei nostri Tiburziani, veniamo raggiunti, sull’ora del desinare, posti entro un’area attrezzata da innumeri cippi di legno piantati in terra a mo’ di sgabelli, dal resto del Gruppo. Si ripetono qui cari versi di antiche usanze: nel corso del “sacco” dolci e caffè dispensati a bizzeffe e poi i cari versi dell’amico poeta Riccobono Emilio. Poi una ricreativa passeggiata entro il meraviglioso bosco del Monte Cimino. Nel primo pomeriggio i saluti di tutti ed un arrivederci sulla Via Amerina per l’inizio vero e proprio dell’annata escursiva 2012/2013.

Vanì, 14-10-2012


LE FOTO
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BOSCO DELLA FOLGORE
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TEMPIETTO DI DEMETRA
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I MONTI CIMINI
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